...può essere uno strumento, un’arma, un mezzo potente che
l’uomo utilizza per nascondere qualcosa o per sottolineare
l’attesa di una parola...
Nel silenzio il tempo sembra fermarsi. Tutto è immobile,
paziente, disposto ad accogliere;
A volte viene usato invece per respingere; è il
silenzio di chi non è disposto ad accogliere né ad offrire qualcosa
di sé; è proprio di chi custodisce un segreto che non è disposto a
svelare.
In questo
caso allora esso si erge come un confine che delimita il castello
fortificato della propria anima dal resto del mondo. Silenzio che
pretende rispetto e attenzione paziente. Silenzio che racchiude
chiunque ne diventi partecipe all'interno di un guscio e non lascia
penetrare niente di estraneo.
Infine vi è
un silenzio timoroso proprio di chi conosce il potere delle parole e
non si sente in grado di utilizzarle e così si rinchiude in uno
stereotipo gelido, estraniandosi dal mondo, lasciando che tutto viva
attorno, che lo sovrasti e continuando a non esprimersi, non
mostrando le sue ragioni; è questo il silenzio di chi si premunisce,
un timore che si maschera di prudenza.
Tre personaggi seduti, immobili ed isolati dal resto del
mondo. L’unico modo che l’osservatore ha per comprendere il loro
pensiero è la lettura dei loro gesti.
“Il
silenzio del somaro” mostra un individuo irrigidito, chiuso, senza
un volto ma con una boccia contenente un pesciolino rosso al posto
della testa.
Il pesce
osserva muto la realtà al di là del vetro trasparente, mentre un
segnale al di sopra sottolinea la necessità di zittire ogni cosa.
L’individuo
ha tra le braccia un cappello con due orecchie d’asino che tiene
ben stretto, denudando in questo modo tutto il suo essere o forse
ciò che crede di essere per l’osservatore, un povero somaro,
incapace di ragionamenti sapienti, impossibilitato nel comunicare e
nel sentirsi ascoltato. Un individuo spersonalizzato , a cui è stato
sottratto ogni diritto di parola e questa incapacità diviene parte
integrante del suo essere, la fa propria, ne è cosciente e per
questo resta in silenzio, sapendo che ogni sua parola si perderebbe
nel vento perché non raccolta. E’ un individuo povero o un povero
individuo la cui difficoltà si espande in ogni campo, il suo
silenzio infetta anche il suo modo di manifestare affetto, come
sottolinea la processione alle sue spalle formata da figure che
portano dei fiori che vengono respinti senza ragione.
Si tratta
quindi di un silenzio impostogli dall'esterno ma che resta tale
sotto un tacito assenso.
Diverso è
invece il “silenzio dell’incubatore”. In questo caso la parola,
il suono, il rumore diventano nemici da allontanare.
Il
personaggio è seduto di spalle, cercando in questo modo di porsi
fisicamente come barriera difensiva. Dimostra così di non voler
cercare alcun dialogo, anzi lo evita in modo prepotente. Indifferente
ai sentimenti altrui, utilizza il silenzio chiudendosi in una posa
pietrificata. In questo modo però l’osservatore ne viene attratto
maggiormente, ma deve rispettarlo e attendere.
“Incubatore”
è colui che racchiude gelosamente un’idea, la trattiene, la
nasconde per mostrarla solo a tempo debito. A nessuno è dato il
privilegio di conoscerla. Potremmo accostare quest’individuo a chi
ha la capacità di immaginare, inventare e creare qualcosa, cosciente
del fatto che la parola non può esprimere in modo adeguato quel
pensiero e che l’unico modo perché sia riconosciuto è attraverso
l’arte, l’immagine, la poesia e la musica. L’incubatore ha
timore del pubblico, sa che la sua idea potrebbe non essere capita da
tutti e così resta lì seduto in una pausa infinita come quella dei
musicisti in basso a sinistra che non suonano in attesa delle
istruzioni del direttore.
In
quest’atmosfera di fogli vuoti, sparsi al vento, di pescatori di
ispirazioni, un piccolo omino lavora in basso a destra all'interno di un segnale triangolare; è questo il simbolo del pensiero creativo
che non può fermarsi, ma che per poter lavorare in modo adeguato
necessita di uno spazio, di un tempo, di silenzio.
L’unico
tra i tre personaggi fermo ad osservarci è invece “il dosatore”. Una serie di
piccoli esseri si snodano su di una lunga scala formata da una
“catena di H”. Più in fondo, sul lato opposto una sorta di
contadino semina lettere nel terreno ed altri due si aggrappano al
collo del personaggio principale cercando di spiare attraverso il
buco di una serratura. Tutto questo movimento viene rallentato e
sospeso da alcuni particolari.
Il dosatore
è immobile, lo sguardo fisso sull'osservatore, le orecchie
spalancate e sulle mani regge da un lato una bilancia che pesa delle
lettere e dall'altro uno scrigno in cui sono appena visibili delle
parole.
Le lumache
che attraversano il campo diventano così il simbolo estremo di
questa lentezza, sembrano voler ricordare l’importanza di
approfittare dei momenti di quiete.
Il dosatore
è quel individuo capace di stabilire i tempi della parola e quelli
del silenzio; è un sapiente, colui per il quale la parola acquista
un peso, cosciente della pericolosità della bocca che pronuncia
parole vane o inopportune e per questo preferisce serrarla
completamente. Una parola usata bene, infatti, vale quanto un tesoro,
ma se abusata diventa un’arma letale. “C’è un tempo per
tacere e un tempo per parlare” afferma Qoelet, e di questo il
dosatore ne è cosciente. Egli è colui che attende che si serve del
silenzio come di una lente d‘ingrandimento per scrutare al meglio
la realtà; è attento ad ogni particolare, ad ogni suono, disposto all'ascolto, che non ricambia , però, con una risposta, resta in
silenzio perché attraverso questo riesce a comunicare molto di più.
I tre
personaggi affrontano la vita in tre modi totalmente diversi; non si
tratta solo della rappresentazione di tre tipologie di essere umano,
sono infatti anche tre momenti della vita dell’uomo, attimi in cui
il silenzio diventa un amico a cui affidare i propri pensieri, un
rifugio in cui ci si protegge dagli attacchi esterni o anche lo
strumento con il quale si agisce e si osserva il mondo.
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