sabato 17 giugno 2017

Come le rondini

A volte mi chiedo se Tu da lassù ci guardi uno per uno o se 
sfuggiamo al Tuo sguardo come quelle rondini che ora 
volteggiano veloci sulla mia testa.

Io,con i miei occhi, faccio fatica a seguirne una che già il mio 
sguardo la sostituisce con un’altra.

Cosa siamo per Te,Signore?
Siamo come tutte quelle rondini che vedo ora? Così lontane, così 
simili, sconosciute...o ci guardi uno per uno, come forse fai già 
con loro?

Tu le conosci, sai il numero delle loro piume, riconosci il verso di 
una sola di loro in uno stormo di migliaia di altre rondini.

Sai quante volte una è stata ferita, o quante l'altra si è ritrovata a 
volare sotto la pioggia.

Davvero conosci noi come quelle rondini?
Eppure a me sembrano tutte così uguali.

Le invidio a volte...

Io quel cielo posso solo guardarlo,neanche saltando ci arrivo a 
toccarlo,
loro invece ci nuotano dentro,lo attraversano da oriente ad 
occidente e a guardarle ne sembrano fiere.

Lo so che non è proprio così...
quelle rondini spesso volano veloci per fuggire via da qualcosa, 
da qualcuno o semplicemente perché sono affamate o per tornare 
al nido prima che scenda la notte,
un po'come facciamo anche noi.
Solo che loro hanno il vento che le accompagna,che le spinge,che 
le fa muovere velocemente,
noi invece a volte ci sentiamo così pesanti...voleremmo anche noi 
se solo fossimo più leggeri.


Poi ci sono quei giorni,

giorni in cui quel vento lo sento anche io, quaggiù, e sembra voler 
sollevare anche me

e soffia come la voce di un amico che incoraggia,
mi accarezza come una madre o una sorella...

e allora penso che forse quello che sento è lo stesso vento che 
muove quelle rondini lassù


e che chi ora mi accarezza,Signore, sei Tu.

venerdì 16 giugno 2017

Inno allo stanzino

Nasce sempre come un bisogno, come se qualcosa dentro me lo chiedesse,
come una fame...
... e così... salgo quegli scalini e più salgo più il cielo si apre sopra di me, come se su ognuno di quegli scalini lasciassi un pezzo di me e mi ritrovassi improvvisamente spoglia, aerea, leggera.
 Poi faccio qualche passo, apro la porta dello stanzino e quella voce dentro di me dice "casa!" ed improvvisamente mi sento abbracciata, avvolta da una coperta calda e accogliente.
 Apro la finestra turchese... la spalanco...sento il vento che entra da lì, che alza la polvere dalle superfici, quella stessa polvere che mi entra su dal naso, si posa sulla mia pelle, sui capelli e sui vestiti, come fosse un profumo intenso, come fosse il mio stesso profumo lasciato lì l'ultima volta.
 Spalanco le due ante turchesi della porta ed un coro di uccelli fuori da questa stanza sembra far festa come se aspettasse solo questo, come se aspettasse me.







Penso a ciò che ho lasciato sotto,seduta sullo scalino...stanze illuminate da lampadine tristi e stanche, l'odore di deodorante che fa dimenticare certe umane fragilità, che maschera la nostra essenza, che uniforma i ricordi.

Poi guardo questo cielo immenso che mi sovrasta,
questa grande coperta infinita
 che mi fa sentire piccola creatura imperfetta, persa in uno stupendo infinito.
       E così il tempo si dilunga.
Non più scandito dai programmi televisivi ipnotizzanti e dalle telefonate dei parenti , ma da un sole che pian piano si abbassa lasciando lunghe ombre viola e azzurre e bagliori sempre più rosati.


Qui il futuro non conta. Nessuno ti chiede del domani, nessuno domanda:
"che farai ?chi sarai ?"

Sei solo tu... dentro un cielo attraversato da rondini, rintocchi di campane e voci distanti.

domenica 27 novembre 2016

Fiat voluntas

I passi del padre, acrilico su tela, particolare, 2016


C'è chi conosce la direzione dei suoi passi...chi la sta ancora cercando.
Chi vorrebbe dei segnali e chi invece si avventura...
C'è chi è zoppo e si domanda quanto ancora ci sia da camminare...e chi salta i fossati come un atleta perché ha fretta di arrivare.
Poi c'è chi si guarda indietro e conta le sue orme, una per una...
Chi invece guarda avanti e sogna cose grandi come la luna.
Ma c'è anche chi cammina e si guarda accanto e lì vicino c'è qualcuno che corre, saltella, inciampa e sogna di tanto in tanto...
...infine c'è una stella che scivola nel cielo, chi cammina la osserva...lei conosce la sua direzione, non si ferma, non torna indietro, va sempre avanti e quando arriva alla meta brilla più forte così che per chi la osserva tutto sia più chiaro.

Fiat voluntas, acrilico su tela, 50 x 70, particolare, 2014

lunedì 21 novembre 2016

Il Silenzio

Tanti sono gli aspetti del silenzio...
...può essere uno strumento, un’arma, un mezzo potente che l’uomo utilizza per nascondere qualcosa o per sottolineare l’attesa di una parola...

Nel silenzio il tempo sembra fermarsi. Tutto è immobile, paziente, disposto ad accogliere;


 A volte viene usato invece per respingere; è il silenzio di chi non è disposto ad accogliere né ad offrire qualcosa di sé; è proprio di chi custodisce un segreto che non è disposto a svelare.
In questo caso allora esso si erge come un confine che delimita il castello fortificato della propria anima dal resto del mondo. Silenzio che pretende rispetto e attenzione paziente. Silenzio che racchiude chiunque ne diventi partecipe all'interno di un guscio e non lascia penetrare niente di estraneo.


Infine vi è un silenzio timoroso proprio di chi conosce il potere delle parole e non si sente in grado di utilizzarle e così si rinchiude in uno stereotipo gelido, estraniandosi dal mondo, lasciando che tutto viva attorno, che lo sovrasti e continuando a non esprimersi, non mostrando le sue ragioni; è questo il silenzio di chi si premunisce, un timore che si maschera di prudenza.


 Tre personaggi seduti, immobili ed isolati dal resto del mondo. L’unico modo che l’osservatore ha per comprendere il loro pensiero è la lettura dei loro gesti.
Il silenzio del somaro” mostra un individuo irrigidito, chiuso, senza un volto ma con una boccia contenente un pesciolino rosso al posto della testa.
Il pesce osserva muto la realtà al di là del vetro trasparente, mentre un segnale al di sopra sottolinea la necessità di zittire ogni cosa.
L’individuo ha tra le braccia un cappello con due orecchie d’asino che tiene ben stretto, denudando in questo modo tutto il suo essere o forse ciò che crede di essere per l’osservatore, un povero somaro, incapace di ragionamenti sapienti, impossibilitato nel comunicare e nel sentirsi ascoltato. Un individuo spersonalizzato , a cui è stato sottratto ogni diritto di parola e questa incapacità diviene parte integrante del suo essere, la fa propria, ne è cosciente e per questo resta in silenzio, sapendo che ogni sua parola si perderebbe nel vento perché non raccolta. E’ un individuo povero o un povero individuo la cui difficoltà si espande in ogni campo, il suo silenzio infetta anche il suo modo di manifestare affetto, come sottolinea la processione alle sue spalle formata da figure che portano dei fiori che vengono respinti senza ragione.
Si tratta quindi di un silenzio impostogli dall'esterno ma che resta tale sotto un tacito assenso.
Diverso è invece il “silenzio dell’incubatore”. In questo caso la parola, il suono, il rumore diventano nemici da allontanare.
Il personaggio è seduto di spalle, cercando in questo modo di porsi fisicamente come barriera difensiva. Dimostra così di non voler cercare alcun dialogo, anzi lo evita in modo prepotente. Indifferente ai sentimenti altrui, utilizza il silenzio chiudendosi in una posa pietrificata. In questo modo però l’osservatore ne viene attratto maggiormente, ma deve rispettarlo e attendere.
Incubatore” è colui che racchiude gelosamente un’idea, la trattiene, la nasconde per mostrarla solo a tempo debito. A nessuno è dato il privilegio di conoscerla. Potremmo accostare quest’individuo a chi ha la capacità di immaginare, inventare e creare qualcosa, cosciente del fatto che la parola non può esprimere in modo adeguato quel pensiero e che l’unico modo perché sia riconosciuto è attraverso l’arte, l’immagine, la poesia e la musica. L’incubatore ha timore del pubblico, sa che la sua idea potrebbe non essere capita da tutti e così resta lì seduto in una pausa infinita come quella dei musicisti in basso a sinistra che non suonano in attesa delle istruzioni del direttore.
In quest’atmosfera di fogli vuoti, sparsi al vento, di pescatori di ispirazioni, un piccolo omino lavora in basso a destra all'interno di un segnale triangolare; è questo il simbolo del pensiero creativo che non può fermarsi, ma che per poter lavorare in modo adeguato necessita di uno spazio, di un tempo, di silenzio.
L’unico tra i tre personaggi fermo ad osservarci è invece “il dosatore”. Una serie di piccoli esseri si snodano su di una lunga scala formata da una “catena di H”. Più in fondo, sul lato opposto una sorta di contadino semina lettere nel terreno ed altri due si aggrappano al collo del personaggio principale cercando di spiare attraverso il buco di una serratura. Tutto questo movimento viene rallentato e sospeso da alcuni particolari.
Il dosatore è immobile, lo sguardo fisso sull'osservatore, le orecchie spalancate e sulle mani regge da un lato una bilancia che pesa delle lettere e dall'altro uno scrigno in cui sono appena visibili delle parole.
Le lumache che attraversano il campo diventano così il simbolo estremo di questa lentezza, sembrano voler ricordare l’importanza di approfittare dei momenti di quiete.
Il dosatore è quel individuo capace di stabilire i tempi della parola e quelli del silenzio; è un sapiente, colui per il quale la parola acquista un peso, cosciente della pericolosità della bocca che pronuncia parole vane o inopportune e per questo preferisce serrarla completamente. Una parola usata bene, infatti, vale quanto un tesoro, ma se abusata diventa un’arma letale. “C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare” afferma Qoelet, e di questo il dosatore ne è cosciente. Egli è colui che attende che si serve del silenzio come di una lente d‘ingrandimento per scrutare al meglio la realtà; è attento ad ogni particolare, ad ogni suono, disposto all'ascolto, che non ricambia , però, con una risposta, resta in silenzio perché attraverso questo riesce a comunicare molto di più.

I tre personaggi affrontano la vita in tre modi totalmente diversi; non si tratta solo della rappresentazione di tre tipologie di essere umano, sono infatti anche tre momenti della vita dell’uomo, attimi in cui il silenzio diventa un amico a cui affidare i propri pensieri, un rifugio in cui ci si protegge dagli attacchi esterni o anche lo strumento con il quale si agisce e si osserva il mondo.

domenica 13 novembre 2016

Cantico

Il mio diletto è per me, olio su tela, 2010
Colui che il mio cuore ama, acrilico su tela, 2013

Mangiatori di vento

Tutta la fatica dell'uomo è per la sua bocca, eppure il suo desiderio non si sazia mai.” (Qo 6,7)
Mangiatore di vento, olio su tela, 50x70, 2009


Che sapore ha l'esistenza? Se l'uomo potesse scegliere, di quali pietanze riempirebbe la sua tavola? Forse di ricchezze, di sapienza, di scienza, di ricordi, di illusioni, di ore, di tutto ciò che la sua bocca riesca a contenere. Egli potrebbe così deliziare i suoi invitati, stupirli, riempirli. Ma la musica che avvolgerebbe il suo banchetto non sarebbe altro che hebel, il vuoto, l'inconsistenza, una nebbia insapore che nasconde tutto e al cui svanire mostra solo ombre. L' hebel è come un vento, al suo passaggio muove ogni cosa, ravviva, fa sentire la sua melodia, ma solo per un attimo, poi torna il silenzio, tutto si pietrifica, finché non arriva un soffio diverso, da un altro punto, ma ancora una volta illusorio. La fame di vento non offre riposo, corrode l'uomo dall'interno e lo riempie di ansie invincibili. La ragione di tutto questo sta nella realtà di chi non è più capace di provare gusto per la sua esistenza, di chi si accontenta di continuare a ruotare nel vortice del vento e di restarne mutilato o stanco.

Ispirazione tratta dal libro di Qoelet.
Qoelet